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Yule: La Rinascita Del Sole

Con il principio del mese di dicembre, ci prepariamo ad accogliere e celebrare uno dei più importanti riti derivanti dalla cultura pagana, Yule.

Origini

agrifoglio, yule, natale, solstizioQuasi sicuramente il nome Yule deriva dal norreno Jól  o Jóllnir, entrambi nomi di Odino, secondo Snorri Sturlson. Si festeggia quindi un vecchio dalla barba bianca e già questo dovrebbe farci venire in mente qualcosa di fin troppo noto, ma proseguiamo, perchè le analogie ed i sincretismi non si fermano qui.
Secondo la tradizione norrena, Odino era dedito alla caccia selvaggia, ed in questo periodo dell’anno si dilettava a guidare schiere di morti.
Sappiamo che i norreni non avevano nozioni astronomiche e pertanto non celebravano equinozi e solstizi. Tuttavia in questo periodo dell’anno, in cui cade il solstizio d’inverno, essi dedicavano ai loro dei rituali e festeggiamenti che culminavano con un sacrificio in loro onore.

Celebrazione

La celebrazione cominciava all’inizio di dicembre con l’accensione dei fuochi di Yule. Vedremo più avanti la grande valenza simbolica di questo gesto ancestrale e dell’elemento fuoco.
I festeggiamenti duravano per circa un mese. Al termine di questo periodo, intorno cioè al 15 gennaio, si spegnevano i fuochi solo dopo aver celebrato Jólablot, sacrificio in onore del dio Freyr, nume tutelare della fertilità. L’auspicio era di propiziare un buon anno nuovo, con raccolti soddisfacenti e la possibilità di superare indenni la stagione più rigida. Si consumavano banchetti a base di carne di maiale, pane e birra ed era un periodo votato soprattutto al risposo.

Il mito di Baldr

Molto utile a comprendere l’intenzione di chi si approcciava a questa celebrazione è il mito di Baldr. Il mito come sempre ci fornisce una preziosa chiave di lettura della cultura dell’epoca, ci fa entrare a grandi passi nella mentalità di questi popoli e ci offre una decodifica dei simboli attraverso l’uso degli archetipi.
Il mito descrive Baldr come un essere luminoso, il più saggio tra gli Aesir e vedremo come la luce e l’ombra in questo mito siano una costante. Suo padre è Odino, sua madre Frigg.
Baldr nella sua saggezza, possiede il dono della premonizione. Ogni notte sogna cose che sistematicamente poi si avveravano. Succede che comincia a sognare la sua morte e questo mette in allarme tutti gli Asi.
Sua madre Frigg, per tenere il figlio al sicuro da qualunque minaccia, chiede giuramento a tutti gli elementi, affinché non possano mai nuocergli in alcun modo. Così acqua, fuoco, metalli, pietre, alberi, animali e malattie ed ogni altro elemento del mondo naturale, giurano.
Baldr è così convinto di essere immune da qualunque cosa al mondo, che passa le serate a farsi colpire dagli altri dei per divertimento.
Il dio Loki, che nel mito norreno rappresenta il Chaos nel significato letterale del termine, con l’inganno riesce a sapere dalla dea Frigg che l’unico a non avere prestato giuramento è il vischio, per via della sua giovane età.
Avuta l’informazione, fabbrica una freccia da un rametto di vischio, che mette in mano a Hodh, guidando la sua mano essendo il dio cieco.
Baldr colpito dal vischio muore cadendo su un cespuglio di agrifoglio, che macchiato dal suo sangue da allora ha le bacche di colore rosso. Così comincia una serie di avvenimenti atti a tirare fuori Baldr dal regno di Hel, una sorta di regno dei morti, potremmo dire.
Malgrado la mobilitazione degli Asi, gli dei di Asgard, Baldr non torna dal regno dei morti e questo succede per una ragione ben precisa. La sua morte nel mito di fatto dà inizio a Ragnarok.
Ragnarok, “il crepuscolo” degli dei o “il destino degli dei”, in cui gli dei della luce si batteranno contro quelli dell’oscurità.
Alla fine molti dei e uomini moriranno, ma ci sarà una nuova creazione. La terra tornerà a rifiorire, come ci sarà una nuova età dell’oro e Baldr, il dio “innocente” e “buono”, ucciso per un inganno, tornerà.
Baldr risorge di fatto, torna dal regno dei morti, per accompagnare l’umanità in una nuova era di prosperità.
Il tema del “giusto” sacrificato che ritorna, è fin troppo evidente, diventerà il fulcro del dogma cristiano, secondo cui la figura di Cristo torna dopo l’Apocalisse per regnare sui giusti, appunto.

Regno dei vivi e regni dei morti

Anche qui, come nel mito di Persefone, di cui tanto ho parlato nei precedenti post, che consiglio di andare a leggere, se non l’avete fatto, incontriamo la costante duale tra regno dei morti e regno dei vivi. Luce ed ombra.
Non è naturalmente un caso, il mito è tramandato per trasmettere una conoscenza ancestrale, non solo per raccontare una storia.
In questo momento dell’anno si è avvolti dal buio,  i morti hanno vagato sulla terra a Samhain, per questo motivo si celebra l’imminente ritorno della luce ed il rinascere della vita.

Il solstizio

Il denominatore comune a tutti i miti che riguardano questo periodo dell’anno anno è, lo ripeto, l’opposizione tra luce ed ombra. I miti che riguardano questo periodo dell’anno hanno tutti a che fare con il buio, l’oscurità, la morte. Non è casuale, considerato che di fatto un anno solare sta morendo per rinascere.
Potremmo intuire che la ragione risieda nel fatto che intorno al 21 di dicembre cade il solstizio d’inverno.
Il solstizio è un momento astronomico in cui il sole sembra fermarsi all’orizzonte, per poi riprendere il suo “cammino” nella volta celeste (naturalmente gli antichi non erano consapevoli del moto di rivoluzione del pianeta terra). Il termine deriva infatti dal latino e significa “sole che si ferma”.
Sebbene non si avessero particolari nozioni di astronomia, o meglio non tutti le avevano, il fatto certo è che tutti si accorgevano che in concomitanza col momento solstiziale si aveva il minor numero di ore di luce, che dopo il solstizio cominciavano lentamente e progressivamente ad aumentare. Al solstizio abbiamo infatti il giorno più corto dell’anno, nel senso che, causa l’inclinazione dell’asse terrestre rispetto al sole e la doppia rotazione del nostro pianeta, le ore di luce risultano minori.

Sol Invictus

Certo è che da questo momento in poi le ore di luce vanno via via aumentando, anche se impercettibilmente. Si dice infatti che “le giornate si allungano”.
Gli antichi culti d’oriente legati al dio Mitra e successivamente sincretizzati dai romani, festeggiavano in questo giorno la nascita del nuovo dio sole. Il “Sole invincibile”, il sole che rinasce e che quindi non muore mai. Questo Dio raffigurato con una corona di raggi solari sul capo, era generato da una vergine, che veniva chiamata Kore, guarda caso altro nome di Persefone. Ma in questo caso la vergine non è semplicemente una donna illibata, ma rappresenta il FEMMINILE, che dà alla luce il Sol Invictus. Fa venire in mente qualcosa di contemporaneo? La vergine Maria, l’immacolata concezione… Il richiamo è forte ancora una volta alla Grande Madre primordiale. So di ripetermi, ma non smetterò mai di sottolineare come qualunque culto pagano derivi dall’archetipo del femminile ed è quindi qui che va cercata la chiave interpretativa di ogni mito. Questo non è solo un mio parere, ma risulta evidente analizzando a fondo i simbolismi che ogni racconto mitico racchiude in sé e di cui si serve per raccontare quella che è la storia dell’uomo a tutti gli effetti. Il mito dice tutto, c’è scritto tutto lì.
I romani nei primi giorni di dicembre fino al 23 celebravano i Saturnalia. Anche qui al centro di tutto c’era la luce che trionfa sul buio. Durante questo periodo di festa era usanza scambiarsi dei doni in onore di una dea chiamata Strenia, da cui deriva la nostra parola “strenna”.
Alla fine dei Saturnalia si festeggiava la nascita del Sol Invictus. Un giorno che poi Costantino proclamò di festa per tutti.

Re Quercia e Re Agrifoglio

Presso i Celti si diceva che il Re Quercia ed il Re Agrifoglio si contendessero l’anno. L’uno, il re Agrifoglio era re dell’anno calante, mentre l’altro di quello crescente.
Essi si contendevano il trono e sembra che in questo periodo dell’anno il Re Quercia finisse con l’avere la meglio sul rivale, decretando così la morte dell’anno vecchio e la nascita di quello bambino, il nuovo anno, appunto.

Piante di Yule

L’Agrifoglio è da sempre ritenuto una pianta magica. Presso i romani era usanza e buon auspicio donarla alle nuove coppie. I nativi con le sue foglie preparavano un infuso ancora oggi noto con il nome di Mate. E’ simbolo di forza e resistenza e si diceva che con un suo rametto si potesse addomesticare qualunque animale selvaggio. Per i cristiani le foglie aghiformi ricordano la corona di spine di Cristo e le bacche il suo sangue, per questo è usanza farne corone da appendere.
vischio, yule, nataleIl Vischio, altra costante del periodo natalizio, deve la sua fama invece al mito appena narrato di Baldr. Tuttavia anche presso i Celti era considerata, come abbiamo visto, una pianta sacra dall’alto valore simbolico. Si tratta di una pianta sempreverde parassita e per questo senza radici. Per vivere deve unirsi ad un’altra. Le sue bacche biancastre rappresentano le lacrime di Frigg, la madre di Baldr che piange il figlio morto. Ma si dà il caso che presso i Celti le bacche bancastre rappresentassero lo sperma divino, motivo per il quale il vischio di quercia era sacro ai Druidi. E’ anche noto come la pianta dei sogni premonitori ed anche questo aspetto la accomuna con la figura di Baldr.
L’Abete è una pianta sempreverde, simbolo da sempre di resilienza, capacità di sopravvivere agli inverni più rigidi, passaggio oltre l’oscurità. E’ anche, data la sua forma, un simbolo fallico, maschile, il sole che non muore mai. I norreni preparavano un ceppo decorato con nastri rossi e rami di Abete, Vischio, Agrifoglio, Edera (simbolo del dio solstiziale), Betulla (pianta lunare e simbolo dei nuovi inizi). Questo ceppo detto il ceppo di Yule, veniva dato alle fiamme del fuoco di Baldr al termine delle celebrazioni. Da qui pare che derivi l’usanza di decorare un abete che abbiamo ancora oggi.

Il fuoco

fuoco, baldr, falò, yuleMolto si è già detto sull’importanza del fuoco in qualsivoglia rituale. Il fuoco è simbolo maschile per eccellenza. Emblema di morte e distruzione. Ma il fuoco è anche l’elemento grazie al quale gli alchimisti ottenevano la trasmutazione. Pertanto un elemento cruciale di trasformazione e rinascita, pensiamo alla fenice che rinasce dalle ceneri…
L’usanza riaccendere i fuochi al principio dei festeggiamenti di Yule ha una valenza altamente simbolica e sta a significare che l’oscurità che finora ci ha avvolti sta piano piano abbandonandoci. Il fuoco, la fiaccola che brucia nella caverna ed accompagna l’uomo attraverso il suo cammino esperenziale verso l’illuminazione, la luce appunto.

Conclusioni

Celebrare Yule non significa eseguire passivamente dei gesti rituali descritti da chissà quale mito o testo sacro. Yule è rinascita, perchè è il mondo attorno che rinasce. Come alla fine di Ragnarok, tornerà l’età dell’oro (l’oro rappresenta il sole), Baldr ritorna dal regno dell’oscurità, anche noi subiamo inconsapevolmente l’influenza di questo clima festoso. Siamo travolti dall’atmosfera gioiosa e portatrice di imminente rinnovamento e non soltanto perchè ci accalchiamo fino all’ultimo alla ricerca di un regalo perfetto, di cui ci stancheremo dopo poco.
Con Samhain siamo stati avvolti completamente dall’ombra, ci abbiamo camminato dentro, senza alcuna guida. L’abbiamo accolta ed attraversata e siamo giunti fino alla fine della nostra caverna interiore. Finalmente stiamo per vedere la luce.
Il significato delle feste rituali degli antichi non sta nel rifarsi ad un dettame precostruito per il solo interesse egoistico di ottenere qualcosa in cambio. Questo semmai è un retaggio delle religioni monoteiste. Qui la ricompensa siamo noi, la nostra consapevolezza. La consapevolezza di essere arrivati fin qui, di avercela fatta. La certezza che l’inverno finirà e torneremo a risplendere risvegliandoci insieme a Madre Natura.

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