Ecate è la più misteriosa tra le dee del patheon greco e romano. Le sue origini non sono chiare. Sembra che il suo culto derivi dagli egizi. Ma la sua esistenza può risalire addirittura a tempi molto più remoti. Il suo legame con i culti neolitici della Grande Madre è molto forte e questo la rende una delle dee più potenti e temute.
Origini
Ci rifacciamo alla cosmogonia di Esiodo, per affermare che Ecate sia stata generata dai titani Asteria, figlia di Ceo e Febe, la luna arcaica e Perse, figlio di Crio ed Euribia, la forza immane.
I titani sono una stirpe arcaica che risale alla nascita dei tempi. Esiodo li fa risalire al principio del tutto, il Chaos, come figli di Gea e suo figlio Urano. Quest’ultimo dolorosamente noto per aver trovato la morte per mano del figlio Crono, il tempo, il quale lo uccise colpendolo con una lama fabbricata dalla madre Gea. Patricidi ed omicidi vari costellano la storia delle origini del mondo e degli dei. Questo aspetto truculento della questione, è funzionale a comprendere come la morte rituale, oltre che materiale, sia il fulcro generatore delle vicende che vedono gli dei e gli uomini quali protagonisti.
Il tema della morte come rito di passaggio, morte e rinascita, emblema dell’eterno conflitto duale vita/morte, luce/ombra che caratterizza l’esperienza umana, diviene peculiare della dea di cui stiamo parlando.
La Grande Madre
Ecate incarna più di ogni altra dea l’archetipo della Grande Madre primordiale. Ha in sé il principio di generatrice e distruttrice. Sembra che tragga la sua origine dalla dea egizia Hequet. Dea levatrice dalla forma di rana. E la rana è l’animale che rappresenta la Grande Madre nelle pitture rupestri neolitiche. La rana è infatti un animale liminale, che vive sulla soglia di due mondi diversi, l’acqua e la terra.
Presso il paganesimo greco e romano Ecate è l’unica dea che come Zeus è in grado di avverare i desideri degli uomini. Questa facoltà degna solo del padre degli dei, fa di lei l’unica ad avere facoltà magiche ed esoteriche. Ecate è infatti anche padrona della arti magiche e misteriche. Per molto tempo, a seguito dell’avvento delle religioni monoteiste a matrice maschilista, la sua figura ha assunto connotazioni prettamente negative, relegandola ad un ruolo demoniaco, come guardiana del regno dei defunti e della stregoneria. Questo lo si deve al fatto che è una dea liminale, l’unica in grado di accompagnare i vivi nel mondo dei morti oltre che in quello dei vivi.
Fonti
Come detto, le fonti riguardanti l’origine della misteriosa Ecate, si perdono nel mito. E parlando di miti, non si può descrivere questa divinità, senza parlare del mito che la vede tra i protagonisti chiave, ovvero il mito di Demetra e Persefone, descritto nell’Inno a Demetra del poeta Omero. Questo è uno dei miti più importanti per i pagani, perchè quello che più di tutti incarna la figura della divinità primordiale, la Grande Madre neolitica, generatrice e distruttrice, di cui abbiamo ampiamente parlato negli articoli passati.
Il mito di Demetra
Il mito, lo affronteremo poi più approfonditamente, racconta in breve la storia di Demetra, sorella di Zeus e dea delle messi, responsabile di far maturare i raccolti sulla terra. Un giorno Demetra perde di vista sua figlia Persefone, mentre è affaccendata tra i campi. La bambina si imbatte in un cespuglio, che cerca di sdradicare, tanto ne è attratta, finendo per creare una voragine nel terreno dalla quale emerge Ade, dio degli inferi, il quale a bordo del suo cocchio trainato da destrieri infernali, rapisce la bambina e la costringe a vivere nel suo regno di oscurità. La bambina però non si lascia corrompere da lui, che le offre ogni sorta di pietre preziose e cibo prelibato. Finché avvinta dalla fame, ingoia nove chicchi di melagrana.
La madre Demetra si accorge dell’assenza della figlia e vaga inutilmente per nove notti, ma nessuno sembra aver sentito le grida della bambina rapita da Ade. Finché si imbatte in una caverna, all’interno della quale, avvolta dalle tenebre, incontra la dea Ecate. Essa è l’unica in grado di mettere Demetra sulle tracce della figlia scomparsa. La conduce in un viaggio alla ricerca della piccola. Giungono da Apollo, dio del Sole, che le conferma che Persefone è prigioniera di Ade.
Demetra, affranta per il dolore, smette di far fiorire le messi ed il mondo diviene cupo e arido. La terra sterile non dona più alcun frutto ai contadini. Zeus, suo fratello, decide di intervenire e manda un suo messaggero a trattare con Ade. Si stabilisce che la bimba debba ritornare alla casa materna.
Non si considera però che Persefone aveva ingoiato i chicchi di melagrana. Tutti sapevano, Ade compreso, che chi avesse mangiato cibo nel regno dei morti, non avrebbe mai potuto far ritorno a quello dei vivi. Così Zeus stabilisce che Proserpina avrebbe passato sei mesi nel regno dei morti e i restanti sei insieme a sua madre.
Nei mesi in cui madre e figlia si sarebbero ricongiunte il mondo sarebbe rifiorito e le messi sarebbero cresciute nei campi rigogliose Nei restanti sei mesi di separazione, la terra sarebbe stata avvolta dalle tenebre e non avrebbe dato più alcun frutto.
Il tre
Ecate è detta la triplice dea. Si diceva che fosse la guardiana dei crocicchi, punto di incontro tra tre strade. Vi è una preminenza anche nel mito appena descritto del numero tre. Effettivamente tre sono le figure femminili che animano la vicenda: Demetra, Ecate e Persefone.
Queste tre figure, che nel mito sono descritte come persone distinte, incarnano in realtà tre caratteristiche proprie della natura umana e dell’universo stesso. In particolare Demetra è la madre, la nutrice affettuosa, colei che fa germogliare il grano e dà nutrimento a tutta la terra. Persefone è invece la fanciulla, rappresenta l’ingenuità e la genuinità. In lei ritroviamo il primo stadio della vita, quello in cui si è più avventurosi, desiderosi di nuove scoperte e sprezzanti del rischio. Ecate invece è qui l’anziana. La dea tutelare, colei che ha il dono della conoscenza, che sa. Colei che conduce Demetra, illuminando il cammino con la sua torcia fiammeggiante che non si spegne neppure al sorgere del sole.
Il tre ricompare come multiplo: nove sono i chicchi di melagrana, come nove sono i giorni in cui Demetra vaga per la terra in cerca della figlia. Sei sono invece i mesi durante i quali Persefone dovrà riscendere negli inferi, mentre altri sei quelli in cui potrà vivere con sua madre.
Il numero tre e la storia dell’uomo
Si deve a Pitagora ed alla sua scuola, la scoperta dell’importanza del numero tre, che ha impregnato ogni sorta di credenza di matrice esoterica e religiosa. Per i pitagorici il tre era considerato un numero perfetto. Esso poteva descrivere il triangolo e ed era risultato della somma di un numero pari ed uno dispari, quindi perfetto.
Più avanti troviamo il tre come parte della sequenza aurea o sequenza di Fibonacci, nella quale ogni numero è dato dalla somma dei due che lo precedono.
Il Cristianesimo crede nella Trinità, ma in tempi più remoti possiamo richiamare la Trimurti induista, la Triade pagana. Non vi è dubbio che il numero tre abbia a che fare con l’essenza stessa dell’Universo. Esso ha un carattere magico ed è una costante nei rituali esoterici.
Ecate, come abbiamo detto, è detta triplice dea, raffigurata nell’iconografia classica con tre teste a simboleggiare la sua natura arcaica ed estremaente interconnessa con l’universo stesso, alla quale all’inizio dei tempi Giove Cronide “donò doni della terra, del cielo e del mare…”.
La Luna
Tre sono anche le fasi in cui la luna è illuminata dal sole nel compimento del suo ciclo, prima di ritornare alla fase primordiale di morte e rinascita con il novilunio, rappresentato appunto da Ecate.
La luna nera non a caso è il momento in cui il cielo notturno si oscura completamente, con null’altro ad illuminarlo che il timido chiarore delle stelle. Il satellite in questo momento non è visibile nel cielo, poiché non illuminato dal sole. Si dice infatti “luna nera”, ma anche luna nuova. Il principio e la fine, il principio che è la fine. Un nuovo ciclo. E ciclica è infatti la concezione del tempo presso gli antichi, secondo i quali la vita è un continuo ritorno, morire e rinascere. Così come è per le stagioni e la natura che ogni anno si rinnova per morire nelle stagioni più rigide.
Simbolismi e celebrazioni legate ad Ecate
Gli antichi riconoscevano ad Ecate la duplice natura di dea protettrice, ma anche spietata. Era d’uso comune ad ogni cambio di luna, imbandire tavole e dedicarle banchetti privati, al termine dei quali si poneva del cibo all’esterno delle abitazioni, offertole per tenerla tranquilla ed impegnata ed impedirle così di entrare in casa. Queste celebrazioni prendevano il nome di Hekataia e si collocavano come detto nei momenti di transizione tra una luna e l’altra a celebrare la morte di un ciclo e la rinascita del successivo.
Nel corso di questi banchetti, i ruoli venivano invertiti, spesso i liberti facevano la parte dei padroni e viceversa. Col tempo però la sacralità di questi momenti rituali venne soppiantata dall’aspetto effimero e giocoso delle celebrazioni, che vennero denominate Triviali (da Ecate Trivia, triforme) da cui deriva l’aggettivo ancora in uso nella nostra lingua.
La chiave e la soglia
Uno dei simboli di Ecate Trivia è la chiave. Come divinità liminale, Ecate era infatti la guardiana dei passaggi e delle porte. Si ponevano infatti sue icone sugli usci e si lasciavano offerte, affinché vegliasse sugli abitanti della casa.
Il fuoco
La fiamma ardente della sua torcia, con cui è raffigurata anche nell’iconografia classica, l’accompagna nel cammino attraverso le tenebre. Il fuoco è luce, la tenebra rappresenta l’ombra ed entrambe incarnano l’eterno conflitto luce/ombra, insito nei culti misterici della Grande Madre neolitica. Il fuoco è inoltre il principio maschile e conferisce ad Ecate la facoltà di incarnare in sé il principio maschile e femminile insieme. Anche questa è una caratteristica che rimanda ai culti misterici del neolitico, dove non troviamo la separazione netta che invece esiste oggi.
La Mandragora
E’ la pianta sacra ad Ecate. Essa è costituita da una radice biforcata, che secondo le credenze antiche rappresentava, lo ritroviamo ancora una volta, il principio maschile e femminile in forma antropomorfa.
La mandragora è una pianta iconica nella storia della magia. La sua radice robusta che cresce facendosi strada nel terreno, la rende pregna di oscurità e le conferisce un potere sovrannaturale. Ha virtù anestetiche, ma è anche una pianta velenosa. Nel medioevo si diceva che potesse essere impiegata nella cura della licantropia ed era la base di molte pozioni magiche, tra cui quella per curare la sterilità.
Altre piante sacre ad Ecate sono naturalmente il cipresso, pianta dalle radici verticali e tipica dei cimiteri, non a caso. Ma possiamo enumerare anche l’aconito e la belladonna, entrambe piante altamente tossiche ed accomunabili alla mandragora per il fatto di avere infiorescenze di colore viola. Forse anche da qui e dato il retaggio della nostra dea, trae origine la credenza secondo cui il colore viola porta sfortuna. Anche se viola sono i paramenti sacerdotali cristiani nei periodi di Avvento e Quaresima, nascita e morte di Gesù Cristo. Sarà un caso?
In conclusione
Terminiamo con una riflessione su questa dea che, come abbiamo spiegato, è emanazione di forze misteriose ed inspiegabili dagli antichi e forse ancora oggi. In un mondo in cui vi sono nette seprazioni tra uomini e donne, giusto e sbagliato, Ecate ci rimanda ad uno stadio dell’umanità primordiale. Un’era in cui ci si arrendeva al mistero della natura e si viveva in comunione con essa. Un momento in cui le separazioni non erano così nette e il potere del divino era parte dell’uomo.
Onorare Ecate significa prendere parte a questi misteri e farsi incarnazione della triade pagana. Accettare la luce ed accogliere l’ombra. Scoprire di incarnare i tre aspetti della dea: fanciulla, madre e anziana e trarre da ciascuno i giusti insegnamenti per permettere alla coscienza di crescere.