Quando si parla di Artemide, si è portati erroneamente a credere di conoscere bene questa figura mitologica. Assimilata dai romani alla dea Diana, è indubbiamente una delle divinità più note del pantheon greco e romano.
Origini
Artemide trova i suoi natali nell’Isola di Delo. Gemella di Apollo, è stata generata da Zeus e Leto, la tenebra, la notte primordiale che origina la luce.
Sebbene sia nata da un parto gemellare, Artemide nasce per prima e prodigiosamente aiuta la madre a partorire il fratello gemello Apollo. Tenete bene a mente questo aspetto, perchè ritornerà come uno degli elementi peculiari della dea e del culto a lei dedicato.
All’età di tre anni chiede al padre Zeus di avere in dono l’eterna verginità, di poter vivere libera e selvaggia tra i boschi e le montagne e di poter avere sessanta Ninfe come sue compagne.
Torneremo più avanti anche su questo aspetto, sviscerando il suo vero senso, ma per ora riflettiamo ancora una volta sulla costante del numero tre nel mito. Cosa questa, di cui abbiamo già parlato nel post dedicato ad Ecate, che vi invito ad andare a riguardare.
Il mito
Un mito tra tanti, che ha Artemide come protagonista, narra di Orione, abile guerriero e cacciatore, figlio di Poseidone, re di tutti i mari. Suo padre gli fornisce la facoltà di camminare sulle acque. Sembra che Orione dapprima si innamori di Merope, figlia del re Enopione, il quale lo inganna promettendogli la mano della figlia, per poi negargliela. L’ira per l’affronto ricevuto lo spinge ad uccidere l’amata. Questo evento scatena la furia di Enopione, che con un sotterfugio lo acceca. Orione vaga fino a giungere all’isola di Delo, dove la dea Eos, l’Aurora, gli fa riacquistare la vista e lo prende sotto la sua protezione, innamorandosene.
Delo è tuttavia terra sacra ad Apollo ed Artemide. Qui le fonti sono discordanti: c’è chi sostiene che è Artemide ad innamorarsi di Orione, il quale però resta fedele alla sua amata. Secondo un’altra versione invece è lui ad invaghirsi della dea.
Fatto sta che secondo la prima versione, è Artemide che, adirata per il rifiuto di Orione, gli scaglia contro uno scorpione velenoso che lo punge nel sonno. Per tributarne l’impresa però, la dea decide di tramutare entrambi in costellazioni. Da quel momento infatti, nel cielo notturno ogni notte Orione ancora fugge dalle grinfie dello scorpione, costellazione che infatti gli è vicina.
Secondo l’altra versione invece è Apollo, fratello geloso, che per tutelare la verginità della sorella, chiede alla Madre Terra di scagliargli contro lo scorpione immortale. In questo racconto Orione trova la morte, non per la bestia mitologica, ma per mano della stessa Artemide. La dea, ingannata da Apollo, che la sfida a mirare i suoi dardi verso un bersaglio in movimento, colpisce a morte l’amato in fuga dalla creatura. Affranta, una volta scoperto il tranello, la dea trasforma il guerriero in una costellazione.
Dea vergine
Come detto, Artemide è una dea vergine. Qui si deve però aprire una parentesi. La verginità a cui si allude nel mito, infatti, non è intesa come aspetto puramente carnale. E’ pur vero che questa qualità si traduceva in una condizione fisica anche nei seguaci del suo culto, come vedremo più avanti. Ma la verginità di cui si fa menzione nel racconto mitologico è da intendersi anche e soprattutto come una fase della vita, la giovinezza, che rappresenta, ancora non toccata dall’esperienza. Artemide è emblema della natura intatta e selvatica. Questo la rende anche simbolo di determinazione e caparbietà. Qualità effettivamente tipiche della fase della giovinezza. La dea rifiuta il giogo maschile, il ruolo di donna relegata al fianco dell’uomo e decide fin dalla tenera età di vivere una vita completamente votata a sé stessa.
Più avanti nella storia troveremo un’altra icona vergine molto importante, la Maria dei Cristiani. Anche lei vergine, prodigiosamente rimasta incinta (immacolata concezione), partorisce Gesù, il figlio di dio, da sola in una caverna. Il richiamo ad Artemide, protettrice delle partorienti, che fa nascere il fratello gemello, il simbolismo della caverna, come ombra in opposizione alla luce della nascita (venire alla luce) è un rimando secondo me molto significativo alle fondamenta pagane della religione cristiana.
Artemide come Persefone
E’ indubbio che questa qualità la rende assimilabile alla figura, già citata, di Persefone. Anche lei dea vergine, giovane, caparbia e desiderosa di avventura. Anche Persefone non si lascia corrompere dal potere dell’uomo, lo zio Ade, che tenta di entrare nelle sue grazie offrendole pietre preziose, leccornie e addirittura il suo regno.
Dea dai molti nomi
Artemide presso i greci prima ed i romani poi era conosciuta come la dea dai molti nomi. Questo lo si deve al fatto che le dee lunari come Ecate, Selene, Persefone, Demetra, sono evidentemente sfaccettature differenti dell’unica Grande Madre primordiale neolitica, che le vicissitudini storiche hanno finito per scindere in peculiarità ed icone distinte tra loro, anche se strettamente interconnesse.
Artemide quindi è una dea lunare, sorella di Apollo, il sole. Insieme si avvicendano nella volta celeste. La fase che rappresenta è quella della luna crescente. Un momento in cui la luna è solo parzialmente illuminata dal sole e quindi visibile all’occhio umano in forma di falce. Tuttavia si tratta di una fase ricca di energia generatrice, carica vitale che spingerà fino al raggiungimento dell’apice durante la luna piena.
Artemide incarna in sé il principio femminile, che la vuole protettrice delle partorienti, dominata dall’istinto e dalle energie mutevoli della sua natura libera e selvaggia. Dea della fecondità, viene invocata dalle donne in travaglio, come detto. Emanazione del principio generatore, che dona la vita. Anche per questo prende il nome di dea dalle cento mammelle e così viene ritratta nell’iconografia classica.
Tuttavia anche qui facciamo i conti col binomio luce/ombra, maschile/femminile, vita/morte, che non può non riportarci ancora una volta all’archetipo della Grande Madre del neolitico. Artemide è infatti anche cacciatrice, spietata seminatrice di morte in caso di minacce alla sua libertà e verginità, protettrice delle creature selvagge, per difendere le quali è pronta a scagliare i suoi dardi letali. La sua natura racchiude quindi peculiarità di generatrice e distruttrice ancora una volta. Maschile e femminile insieme.
Artemide inoltre è protettrice delle Amazzoni, guerriere dallo scudo a forma di falce di luna, cosa che ci riporta nuovamente alla sua caratteristica di dea lunare. Amazzoni, che usavano asportarsi un seno per poter tirare con l’arco come gli uomini.
Culto di Artemide
Il culto di questa dea si fa risalire a quello dea dea egizia Iside e della babilonese Ishtar. Quest’ultima venerata e temuta divinità dell’amore e della fecondità, ma anche dea della guerra e delle tempeste. A lei era consacrata una delle otto porte di Babilonia, che conduceva ad una strada processionale. Si noti come anche qui il binomio bene/male, luce/ombra sia una costante. Come è una costante il simbolismo delle porte, i passaggi e le strade. Artemide è infatti nume tutelare delle strade e dei ponti a simboleggiare il cammino esperenziale dell’uomo verso la maturità della coscienza.
Non si può citare Artemide, senza parlare del culto a lei consacrato nel famoso tempio di Efeso, considerato una delle meraviglie del mondo antico. A Efeso sacerdotesse vergini e sacerdoti eunuchi, le dedicavano fastosi festeggiamenti, che culminavano con riunioni dei devoti nei boschi, dove si tenevano riti orgiastici. Questo ad evidenziare un’apparente contraddizione insita nella divinità che pur essendo vergine, è anche istigatrice di promiscuità sessuale. Ancora una volta il dualismo di cui sopra.
Un culto autoctono
Pochi però sanno che il culto di Artemide è un culto autoctono per la nostra penisola. Le città italiche più devote alla dea erano Rhégion (attuale Reggio Calabria) e Messena (la vicina Messina). Il culto era duplice, del sole e della luna e anche qui torniamo a sottolineare il dualismo insito in questa icona classica, che incarna l’archetipo dei culti neolitici primordiali. Qui una volta l’anno si traghettavano da Messena trentacinque cantori che aprivano le celebrazioni ad Apollo ed Artemide.
Il santuario a loro dedicato sorgeva sul promontorio Artemisio (poi Punta Calamizzi) e qui Artemide veniva chiamata Artemis Phakelitis, dal nome di fasci di erbe palustri.
Era inoltre usanza presso le famiglie affidare le giovani dall’età di nove anni fino alla maturità al servizio della dea presso i templi a lei dedicati. I suoi seguaci erano votati alla castità, neanche a dirlo. Le fanciulle che dedicavano la loro vita alla dea prendevano il nome di orse (dal greco arktoi = orsa).
Il mito di Callisto e l’Orsa Maggiore
Il termine è spiegato nel mito di Callisto, ninfa devota ad Artemide e come lei cacciatrice e vergine. Come abbiamo già detto, chi si votava al culto della dea era tenuto ad osservare un voto di castità. Accade però un giorno che Zeus se ne invaghisce e riesce con l’inganno ad approfittarsi di lei. Callisto rimane incinta, ma decide di nascondere la cosa. Il figlio che dà alla luce prende il nome di Arcas, che a sua volta dà il nome alla regione del Peloponneso in cui si svolge questa vicenda, Arcadia. La ninfa suo malgrado subisce le ire di Era, moglie gelosissima di Zeus, la quale per vendetta la trasforma in orsa. Da cacciatrice, Callisto diviene quindi preda. Interessante anche qui la transizione del personaggio tra due condizioni apparentemente agli antipodi. La dea Artemide e le sue ninfe ora le danno la caccia. E’ a questo punto cruciale l’intervento di Zeus , che per pietà verso l’amata, decide di trasformarla nella costellazione che da lei prende il nome di Orsa Maggiore.
Erbe sacre
Tra le erbe sacre alla dea c’è il biancospino. Pianta dalle virtù sedative, ipotensive e antispasmodiche. E’ detta la “pianta del cuore”, poiché veniva impiegata in medicina tradizionale e viene tuttora adoperata dalla medicina olistica come come cardio protettore e nei disturbi di natura nervosa. Il biancospino incarna la natura selvaggia di Artemide. Inoltre il colore bianco, come bianca è la veste di Artemide nell’iconografia classica, delle sue timide infiorescenze rimanda per i cristiani al concetto di purezza simbolo di immacolata concezione. Anche qui, solo un caso?
Non si può non menzionare l’artemisia tra le piante sacre ad Artemide, alla quale deve anche il suo nome. Insieme al dittamo ed al lentisco, l’artemisia è una delle erbe chiamate dagli antichi Matres Herbarum, “piante madri”, vi fa venire in mente niente?
Il dittamo è una pianta dalle virtù emostatiche, usata in antichità per lenire i dolori del parto (guarda caso).
L’artemisia è una pianta della famiglia delle angiosperme, ciò significa che racchiude i suoi semi all’interno di un ovulo. Anche questa era usata durante il parto e nella cura dei disturbi ginecologici. Ha proprietà antispasmodiche, antisettiche e digestive. E’ in grado inoltre di regolare il flusso mestruale. Una pianta dalle molte virtù, come la nostra dea, ma anche portatrice di disturbi allergici nel periodo della fioritura. Il binomio è e resta sempre una costante.
Da una specie di artemisia, l’artemisia absinthium, unita ad altre erbe tra cui il dittamo già citato, si ricava il liquore, l’Assenzio, reso famoso dai poeti maledetti, persone libere e fuori dagli schemi, votate all’arte ed all’indipendenza dalle convenzioni sociali, che lo chiamavano fée verte (fata verde).
In conclusione
Il culto di Artemide ci riporta ad una dimensione archetipica, in cui ci riavviciniamo agli antichi culti misterici della Grande Madre primordiale. Essa racchiude i misteri della terra, che vengono a poco a poco svelati, portati alla luce. Come la luna crescente, che in questa fase, lentamente comincia a rivelarsi nel cielo notturno e a liberare la sua energia che influenza la natura ed i suoi cicli.
Cominciamo a comprendere che tutti questi fenomeni sono collegati tra loro e che, come parte della natura, essi finiscono per avere una forte influenza anche su di noi.
La lettura del mito infine ci riporta ad una dimensione arcaica, che ci ricollega alle nostre radici, dalle quali non possiamo prescindere per poter un giorno germogliare e godere della luce della conoscenza.